Sulla prepotente avanzata dell’e-commerce in Italia e nel mondo sono state spese abbastanza parole.
Così come sulla drammatica contrazione delle strutture retail, soffocate dalla concorrenza di Amazon e soci.
C’è ancora spazio di sopravvivenza per gli operatori del comparto che non facciano parte dell’alta moda o della gioielleria di prestigio?
Lo spazio c’è, e l’unica via percorribile oggi passa attraverso la focalizzazione sulla customer experience. Che deve trasformarsi da esperienza d’acquisto a esperienza di vita.
L’arrivo, l’ingresso, la permanenza e l’uscita dal punto vendita devono diventare un momento ludico, un’esperienza piacevole, un’emozione positiva per il cliente che in questo modo viene invogliato a tornare, e a non sedersi in poltrona ad acquistare on line.
E per quanto possano essere attraenti, ben illuminati e ben allestiti i punti vendita, questa esperienza passa prima di tutto dalla qualità del contatto interpersonale.
Fino a quando non riusciremo a modificare il genoma dell’uomo, l’attrazione verso il simile, il momento del rapporto umano giocheranno un ruolo fondamentale nella nostra vita.
Un famoso detto recita “non si ricorderà cosa le hai detto, ma si ricorderà come l’hai fatta sentire”. Il cliente che entra in uno store vuole sentirsi notato, ascoltato, assistito, essere al centro dell’attenzione
Ecco che allora la formazione del personale che opera nei punti vendita, negli store, che si tratti di abbigliamento, alimentari, o telefonia, diventa fondamentale per fornire dei format di comportamento, sistematizzare l’approccio al cliente, e non lasciare nulla all’improvvisazione e all’umore del momento.
Per quanto nelle discussioni quotidiane certi argomenti vengano considerati ovvi, è bene ricordare quali siano gli elementi irrinunciabili sui quali puntare, perché troppo spesso li vediamo trascurati anche in catene famose ed importanti, che poi si lamentano della concorrenza virtuale.
Il saluto e l’accoglienza. Sembra facile adottare un format, ma in molti non lo fanno, e magari lasciano vagare il cliente all’interno degli spazi del negozio senza salutarlo in modo adeguato e senza porgergli la dovuta attenzione.
Il segno di interessamento discreto e non invasivo. Il cliente non si deve sentire assalito e “stalkato”, ma più nei modi che nelle parole deve percepire l’addetto come un consulente pronto a fornirgli informazioni e consigliarlo nel suo interesse. Dando prova di competenza, e fornendo rassicurazione.
L’empatia. Termine inflazionato, che nei punti vendita viene sminuito e confuso con la cortesia. Quando invece l’allineamento con lo stile di comunicazione del cliente in funzione della sua età, del suo aspetto, del suo modo di esprimersi, e oggi sempre più importante, della sua etnia e della sua cultura, è una questione ben più complessa.
I tempi di risposta. L’attenzione del cliente all’interno del punto vendita è vigile, il suo tempo spesso limitato. Deve ricevere attenzione in tempi brevi, e qualora il tempo di risposta alla sua esigenza non possa essere breve, deve comunque ricevere sollecitazioni e cenni di attenzione.
Il Look. Da ultimo, per completezza e sperando di poter dare almeno questo aspetto per scontato, l’aspetto esteriore complessivo entra comunque a far parte dell’esperienza positiva/negativa che il cliente si porterà a casa.
Fino a qualche anno fa tutti questi fattori erano fondamentali soprattutto in certi contesti, nelle catene del lusso e in negozi di un certo livello.
Oggi diventano questione di sopravvivenza per tutto il mondo del retail, a qualsiasi livello
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