Archivi del mese: marzo 2017

Quando il venditore deve saper “mollare il colpo”.

Questo breve articolo vuole mettere in discussione l’affermazione secondo la quale il bravo venditore “non molla mai il colpo” o “non molla mai la presa”, cioè non si arrende mai finché la trattativa non è chiusa e ha un briciolo di speranza.

Ma prima di spiegare le mie motivazioni devo fare una importante premessa. Io sono convinto che un venditore professionale, specialmente un una vendita complessa, BtoB, debba essere coinvolto nelle problematiche interne alla sua azienda, e quindi avere a disposizione tutta una serie di informazioni che gli consentano di effettuare valutazioni più ampie a proposito delle trattative che ha nel suo portafoglio. Lo stacco fra la forza vendite e il resto dell’organizzazione conduce talvolta a quelle predizioni che si autoavverano del tipo “i venditori portano a casa incubi”.

Ovviamente deve anche essere dovere del venditore raccogliere queste informazioni, interfacciarsi con le altre funzioni aziendali, e rendere la trattativa un lavoro di team.

Quindi affermazioni del tipo “tu pensa a vendere, al resto pensa l’azienda”, non sono secondo me solo anacronistiche, ma anche foriere di danni e preoccupazioni per l’azienda stessa.

Detto questo, credo che talvolta ci debba essere un momento in cui, nell’arco della trattativa, il venditore deve avere la consapevolezza, l’autorevolezza, e anche il coraggio di “lasciare il tavolo” di sua spontanea volontà. Andiamo a vedere nello specifico alcune di queste situazioni.

–         Il cliente non è redditizio. Il pacchetto delle condizioni richieste (sconto, tempi di pagamento e di consegna, costi di trasporto, ecc..) rendono la vendita antieconomica per l’azienda. Ogni valore singolarmente potrebbe magari essere tollerato dalla singola funzione aziendale (finance, logistica, controllo di gestione), ma la combinazione di tutti i valori no. E talvolta solo il venditore ha in mano il quadro complessivo quando negozia l’offerta di fronte al cliente. Per questo deve conoscere bene i “limiti”, espressi in modo chiaro e quantitativo, della sua negoziazione; e quando non possono essere oltrepassati

–         Il cliente non è “in sintonia” con l’azienda. Per motivi vari, durante la trattativa, può emergere che il cliente non è allineato con alcuni standard o policy aziendali (produzione che deve fare i salti mortali per adeguare il ciclo produttivo, logistica che si deve riorganizzare, standard di sicurezza più stringenti di quelli normalmente adottati, valori aziendali), in modo da generare per l’azienda stessa problemi di adeguamento al “fuori standard”, danno all’immagine, ecc.

–         Il cliente non è un buon pagatore. Non tutte le aziende si possono giovare di un credit analyst che possa passare al vaglio la situazione del prospect, ma certe informazioni di mercato oggi con un’attenta ricerca sul web e un buon network di conoscenze possono essere tranquillamente rintracciate.

–         C’è una “better alternative”. Il tempo del venditore, come di chiunque altro, è una risorsa finita, che va allocata seguendo criteri di produttività. Scegliere di continuare ad impegnare tempo su un cliente significa anche distoglierlo da un altro. E’ necessario quindi sempre, prima di insistere all’infinito su di un cliente in “stand by”, valutare se non esista una alternativa più conveniente sulla quale investire tempo e risorse.

Quindi, “mollare il colpo” non deve essere sempre e comunque considerato un atto di rinuncia o di rassegnazione, ma anche talvolta il frutto di una valutazione razionale nell’interesse del venditore, dell’azienda e della sua redditività.

Posso affermare di avere vissuto, almeno una volta nella mia vita professionale, una esperienza dove questo processo funzionava a meraviglia. Era la country italiana di Indigo, una piccola multinazionale israeliana operante nel settore delle arti grafiche, poi acquisita da HP, dove l’organizzazione snella e lo stretto contatto fra i key account e le altre funzioni aziendali portava tutti a marciare coordinati nella stessa direzione. Una situazione rara, ma che per lo meno dimostra che “si può fare!”.


Il Botox e l’efficacia commerciale.

Il titolo di questo articolo si riferisce in modo semiserio ad una interessante scoperta effettuata recentemente, di cui parlerò al termine dello stesso.

Ma soprattutto vuole tracciare un breve quadro di come la scienza, in particolare la psicologia e la neurologia ci abbia aiutato a capire i principi e l’importanza della comunicazione verbale e non verbale per gestire efficacemente una relazione interpersonale.

Io credo che un commerciale di elevata professionalità dovrebbe conoscere e avere nel suo bagaglio di conoscenze questi principi, per utilizzare efficacemente queste variabili, che sono parte importante, anche se sicuramente non esclusiva, di una trattativa gestita efficacemente.
Iniziamo dai signori Bandler e Grinder, che partono dall’osservazione delle strategie di alcuni psicologi, e comprendono che il modo in cui comunichiamo e ci esprimiamo dipende dal modo in cui percepiamo la realtà. Comprendere questa modalità nei nostri interlocutori e adattare il nostro stile di comunicazione al loro ci può rendere più comprensibili, efficaci e generare fiducia. Bandler e Grinder scrivono un libro, “La struttura della magia”, che fonda le basi della PNL (programmazione neurolinguistica). Quella seria.

Affiancato dalla scuola di Palo Alto condotta da Paul Watzlawick, che codifica i principi della comunicazione nel suo fondamentale “Pragmatica della comunicazione umana”.

Altri psicologi, dall’analisi delle dinamiche della persuasione deducono dei principi base, comuni in qualsiasi relazione interpersonale, che vengono mirabilmente esposti in modo divulgativo da Peter Cialdini nel suo “ Le armi della persuasione”

Poi ci pensa Paul Eckman, viaggiando in giro per il mondo, a individuare e codificare nel suo “Emotions Revealed” le espressioni facciali che assumiamo quando proviamo una determinata emozione primaria, e che comunichiamo all’esterno in modo più sincero delle parole che diciamo.

Allo studio antropologico di Eckman si aggiunge quello neurologico dell’Italiano Rizzolatti, che in anni più recenti individua i neuroni specchio, e scopre che le nostre risposte inconsce alle emozioni degli altri sono causate da un particolare tipo di neuroni presente nel nostro cervello. Fornendo un contributo scientifico importante alla scienza dell’empatia.

Trasversalmente a tutto questo, innumerevoli studi hanno stabilito e confermato che la prima impressione che una persona genera al primo incontro, con il suo modo di presentarsi, di sorridere, parlare, guardare, stringere la mano… ha un’incidenza talvolta determinante nel generare una precisa opinione nell’interlocutore. Opinione che l’interlocutore stesso cercherà inconsciamente di confermare nel prosieguo del rapporto.

Tutto questo dovrebbe servirci a capire quanto possa essere talvolta determinante la nostra “Comunicazione”, intesa in senso molto lato, al di là della bontà della nostra offerta, e di tutte le strategie di vendita che abbiamo predisposto. In massima parte ovviamente nelle vendite d’impulso “one shot”. Ma comunque in parte non trascurabile anche nelle vendite complesse BtoB.

E il Botox cosa c’entra? Il Botox serve a integrare e rendere un po’ più divertente questa trattazione, descrivendo una recente scoperta del prof. Eagleman, Neuroscienziato statunitense e assiduo sperimentatore.

Questo l’esperimento, che trovate in questo video su Youtube. https://www.youtube.com/watch?v=H6Tabh2Z5PI
A una serie di soggetti sono state mostrate delle immagini di persone che con le loro espressioni facciali manifestavano delle emozioni. Con delle telecamere si poteva chiaramente vedere dai micro movimenti del viso che gli osservatori assumevano inconsciamente la medesima espressione (questo è naturale, quando vediamo una persona che sorride tendiamo a sorridere). Gli stessi soggetti, interrogati dopo avere visto le immagini, erano in grado di riconoscere con chiarezza l’emozione che avevano visto.

Successivamente le stesse immagini sono state mostrate a persone alle quali erano state praticate piccole iniezioni di Botox (farmaco molto noto per abbellire i tratti del viso e occultare le rughe), che forse non tutti sanno avere un effetto lievemente paralizzante sui muscoli facciali.

Risultato: non solo le persone con il Botox nel viso non assumevano come le altre le espressioni facciali viste nelle foto, ma facevano anche più fatica a riconoscere le emozioni connesse.

Morale della favola: se puntate molto sulle vostre doti di comunicazione interpersonale state attenti a non esagerare con il Botox.

Per quanto scherzosa, questa affermazione ha, come avete visto una sua fondata base scientifica.

 


Il venditore imprenditore di se stesso.

Si dice spesso che il venditore deve essere imprenditore di se stesso.

A proposito, uso e continuerò ad usare il termine Venditore, “colui che vende”. Mi sfugge il motivo per cui ci si debba rifugiare dietro terminologie oscure (che so usare benissimo…), quasi che la parola in sé fosse disonorevole, per un mestiere invece così qualificante, quando esercitato con professionalità.
Spesso però, dicevo, l’imprenditorialità si esaurisce nell’organizzazione del giro visite e nel monitoraggio del livello di raggiungimento del target ad una certa data.

Se un venditore vuole davvero essere imprenditore di se stesso, una delle prime cose che deve fare è analizzare più nel profondo le sue performance.

Partiamo dalle basi: il cosiddetto “Funnel” (imbuto) delle vendite. Cosa si fa generalmente? Si guarda quanti clienti devo contattare per ottenere una vendita e il rate che ottengo viene considerato un indicatore di performance per valutarsi.

In realtà posso avere due venditori che contattano entrambi cento clienti per ottenere dieci vendite, e che hanno tuttavia punti di forza e aree di miglioramento totalmente differenti.

Se andiamo a spaccare un po’ meglio il capello in quattro, vedremo che il Funnel è composto da numerose fasi progressive, ognuna delle quali ha un tasso di conversione variabile nel passaggio alla successiva.

Se contatto x clienti, otterrò y visite; da y visite, nasceranno n offerte; da n offerte, scaturiranno w ordini e (molto importante…) da w ordini, si otterranno z vendite finalizzate. Talvolta, nel caso di vendite particolarmente complesse, le fasi possono essere anche più numerose. A ognuno il suo.

Ecco allora che da un’analisi accurata di queste dinamiche, raffrontate con colleghi, con medie di settore, o con le trattative passate (compito questo del bravo Sales Manager, usualmente), il venditore può capire molte cose sulla sua performance globale.

Ad esempio, può scoprire di essere bravo nella fase di prospecting, perché sa prequalificare bene i clienti da chiamare, oppure perché ha un metodo vincente per ottenere la visita dopo averli contattati. E magari poi si arena lungo la trattativa, perché non riesce ad effettuare un’indagine approfondita, o a costruire un’offerta convincente. E così via, fino al momento più drammatico, nel quale un ordine non si traduce in una vendita finalizzata, magari perché è stato un po’ “estorto” con una negoziazione aggressiva. O perché la concorrenza ha avuto un “colpo di coda”, magari prevedibile e prevenibile…O per non avere analizzato in profondità la situazione finanziaria del cliente.

L’analisi spinta del Funnel individuale consentirà di individuare con precisione le aree di miglioramento sulle quali lavorare per migliorarsi, evitando espressioni del tipo “bisogna fare di più”, “bisogna vendere meglio”, prive di indicazioni utili per incrementare i risultati di vendita.

In questo modo si evita di fare sforzi in direzioni sbagliate, perché, come insegna il dialogo fra Alice (nel paese delle meraviglie) e lo Stregatto:
Alice: “Volevo chiederle che direzione prendere” Stregatto: “Dipende da dove vuoi andare…”

Alice. “Non lo so esattamente…” Stregatto: “Allora la direzione non ha alcuna importanza… “

 

 


Il venditore e il tiro a segno.

Quando ero molto più giovane, ho praticato lo sport del tiro a segno, sparando con la pistola in discipline differenti. Non sono mai stato un campione, ma ho disputato numerose competizioni, vincendo un campionato a squadre con il poligono di tiro di Milano.

Conoscere e praticare le differenti discipline mi ha inaspettatamente aiutato molti anni dopo a riconoscere due tipi radicalmente differenti di venditori, contraddistinti da caratteristiche personali quasi opposte e che si adattano quindi a tipi di trattative distanti fra loro.

Ve le racconto.

Le due discipline olimpiche più note del tiro con la pistola sono la Pistola automatica e la Pistola libera.

La Pistola automatica prevede un totale di 60 colpi suddivisi in varie sequenze di cinque colpi, sparati a cinque sagome differenti distanti 25 metri, una affiancata all’altra, in tempi progressivamente più rapidi: 5 colpi in 8 secondi, 5 colpi in 6 secondi, 5 colpi in 4 secondi.

Il tiratore della pistola automatica è veloce, istintivo, pronto di riflessi, tempestivo.

La Pistola libera prevede invece una sequenza di 60 colpi, che possono essere sparati in 150 minuti, (2h e ½), senza altri limiti. Posso aspettare un’ora prima di sparare un colpo, spararne altri più velocemente, e così via.

Il tiratore di pistola libera è paziente, riflessivo, sa aspettare il momento giusto per far partire il colpo, seleziona i momenti propizi.

Penso che sia già chiaro ai più come queste due tipologie si adattino molto bene a descrivere due tipi opposti di venditore.

Il “venditore d’assalto” è tipico della vendita B2C: veloce, d’impulso, punta sulla quantità, la trattativa è breve, deve centrare subito il bersaglio, non ammette esitazioni o ripensamenti, punta molto sull’istinto e sul fattore emotivo.

Il “venditore riflessivo” è tipico della vendita B2B: riflette, prepara la trattativa, sa aspettare, si prende il tempo per verificare che sia tutto a posto, e poi lascia partire il colpo, che letteralmente parte da solo, come un cliente che, persuaso dalle argomentazioni solide del venditore, non necessita di stringenti tecniche di chiusura.

Non esiste scala di valori, non c’è un migliore e un peggiore. C’è solo un venditore più adatto. E guai se non si tiene conto di questo da entrambe le parti, sia nella ricerca di una collocazione, sia da parte delle aziende nella fase di recruiting.

Un “tiratore di pistola automatica” non potrà eccellere in una vendita complessa di lungo periodo, e un “tiratore di pistola libera” farà molta fatica a fare il venditore del Folletto!

Immagino che risulti chiaro come il processo di selezione ed inserimento di una risorsa commerciale all’interno di un’organizzazione necessiti di una particolare attenzione nel comprendere verificare e valutare non solo le competenze e il background, ma anche le attitudini della persona. Parlare semplicemente di “attitudine alla vendita” può risultare, come abbiamo visto, fuorviante. Ci sono tratti della personalità direttamente connessi con la performance che il commerciale è chiamato a generare.

Un processo di ricerca e selezione efficace di una risorsa commerciale deve quindi passare attraverso un dialogo fra l’azienda committente e il selezionatore, che porti ad un brief il più possibile pertinente e dettagliato sulle caratteristiche proprie di uno specifico venditore in uno specifico settore merceologico. E non solo, ma aggiungo anche in funzione del fatto che sia ad esempio maggiormente dedicato al prospecting piuttosto che all’account management e alla gestione e fidelizzazione della customer base.

Processi affrettati di ricerca generica di un commerciale hanno una rilevante probabilità di insuccesso. E anche quando il candidato fosse adatto, il successo sarebbe stato casuale.

Dall’altra parte, anche il commerciale in cerca di una (ri)collocazione dovrebbe stare attento e canalizzare le sue ricerche e i suoi sforzi. Cercare a tutti i costi di ricoprire una posizione che richieda requisiti lontani dalle proprie corde e attitudini può essere fonte di grande insoddisfazione.